Licenziamento per giustificato motivo

La definizione di licenziamento è “atto unilaterale, per mezzo del quale il datore di lavoro recede dal contratto con il lavoratore”. In Italia, per esplicita previsione di legge, il datore di lavoro può licenziare un dipendente solo in determinati casi.

Si tratta dei casi del giustificato motivo oggettivo, soggettivo e della giusta causa.

Il licenziamento può avvenire sostanzialmente per due motivi: per una causa che dipende dal comportamento e dalla condotta del dipendente, o per una causa che dipende dall’attività produttiva.

Il licenziamento per giustificato motivo può incarnare, a seconda delle declinazioni, tutte e due le ipotesi.

Infatti nel caso del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, è il comportamento del dipendente ad aver causato il licenziamento; nel caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo invece è una necessità aziendale, una crisi o una riorganizzazione che impone il taglio di uno o più dipendenti e quindi il loro licenziamento.

Vediamo quindi più nel dettaglio in che cosa consiste il licenziamento per giustificato motivo soggettivo ed oggettivo, quali sono le differenze, in quali casi il datore di lavoro può licenziare legittimamente secondo la legge italiana.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo consiste in una causa di licenziamento che affonda la sua ragion d’essere in un’esigenza dell’azienda stessa. Infatti, esso avviene per ragioni che concernono l’attività produttiva, il funzionamento del lavoro e la sua organizzazione. Questo licenziamento non ha a che vedere con il comportamento del dipendente o con la sua condotta, ma solo e soltanto con motivazioni interne all’azienda.

Devono esserci delle circostanze oggettive e facilmente verificabili che permettono di desumere che era necessario licenziare il dipendente.

Ricordiamo che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo la giurisprudenza ha previsto un vero obbligo a capo del datore di lavoro, che è quello di ricollocare il dipendente nella stessa azienda, anche se con mansioni diverse o di minore rilievo.

Casi tipici di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono quelle della crisi dell’impresa, della cessazione dell’attività, o della scomparsa delle mansioni a cui il lavoratore è destinato senza poterlo rimettere al lavoro in un’altra mansione con stesso livello di inquadramento. Rientrano in questo campo applicativo, dal 2012, anche il licenziamento per superamento del periodo di comporto, o per idoneità fisica-psichica del lavoratore.

In questo caso il dipendente dovrà affacciarsi al mercato del lavoro ricercando quali potranno essere i migliori lavori del futuro prossimo per lui.

Casi tipici di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono: crisi dell’azienda, esternalizzazione dell’azienda o di un ramo di essa, inidoneità fisica del lavoratore, assenza per malattia prolungata o per superamento del periodo di comporto, soppressione del posto di lavoro.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo 

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, a differenza del recesso appena visto, è motivato dal comportamento o dalla condotta del lavoratore.

Nel caso in cui il lavoratore commetta comportamenti che hanno rilevanza disciplinare non lieve, può essere licenziato (siamo quindi nel campo del licenziamento disciplinare).

Il comportamento negligente del dipendente, il suo scarso rendimento, un inadempimento di non scarsa importanza circa le sue mansioni, la lesione di interessi importanti per il datore di lavoro, l’omissione di informazioni sono alcuni casi che comportano il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

A differenza del licenziamento per giusta causa, in questo caso il comportamento del lavoratore non è così grave da giustificare un licenziamento in tronco del dipendente; tuttavia, viene comunque leso quel vincolo di fiducia e di conseguenza il rapporto di lavoro non può proseguire.

Questo licenziamento per giustificato motivo soggettivo prevede un periodo di preavviso, a differenza del licenziamento per giusta causa che è in tronco.

L’azienda può anche non concedere il periodo di preavviso ma in questo caso deve corrispondere l’indennità sostitutiva che è pari alla retribuzione alla quale avrebbe avuto accesso e diritto il dipendente, se avesse continuato a lavorare durante il periodo di preavviso.

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